La promessa, di Damon Galgut

Dentro a una contemporaneità letteraria nella quale sembra che le storie importanti o presunte tali richiedano foliazioni importanti, Damon Galgut, in meno di trecento pagine, ci consegna l’epopea di una famiglia: gli Swart, di una nazione: il Sudafrica e, chissà, forse dell’intera umanità.

La promessa del titolo è quella che Rebecca Swart fa alla domestica nera Salomè, a cui, in punto di morte, destina la proprietà della casa in cui vive. Ma né il marito, né i figli saranno capaci di onorare questa promessa, precipitando i protagonisti dentro a un giudizio morale che coinvolge per intero la società sudafricana – razzista, avida e corrotta – che gli Swart rappresentano archetipicamente.

Galgut analizza gli ultimi quarant’anni di un Paese dilaniato dall’apartheid e da una corruzione crescente, con uno stile blues che ricorda l’inesorabilità dei fiumi africani.

L’eredità promessa, dentro a uno scenario che va dalla liberazione di Mandela dopo trent’anni di carcere, alla Coppa del mondo di Rugby del 1995, dal tradimento del sogno democratico, alla crisi energetica ed economica contemporanea, sembra alimentare una contesa insignificante ma che assume in realtà un valore simbolico fortissimo innanzitutto perché destinata ad una donna nera e poi perché il tema della terra contesa è la radice stessa di questo Paese.

Nell’irrisolutezza di Astrid, ma soprattutto nell’infelicità cronica di Anton, incapace di superare i traumi della vita, si realizza la metafora di un mondo che sembra aver perduto se stesso e la speranza nel futuro. L’unica apertura che Galgut concede è incarnata dalla figlia minore di Rebecca: Amor, la coscienza degli Swart e di una nazione intera in marcia verso una meta democratica che appare ancora drammaticamente lontana.

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