1889, di Régis Jauffret

Nel luglio del 1889, vicino al giorno di San Giacomo, lo Zio mi mise incinta. Lui mi ricorda spesso l’importanza del dovere coniugale. Inoltre qualche giorno dopo la morte di Ida, l’abate Müller mi aveva spiegato che anche se Dio aveva deciso di prendersi i miei primi due figli, Gli si doveva lasciare la possibilità di permettere ad altre creature di essere concepite, di crescere nel mio ventre, di nascere e se Lui voleva di raggiungere l’età adulta”.

Per nove mesi Klara porta in grembo colui che è destinato a diventare il più feroce dittatore di tutti i tempi, l’incarnazione del male assoluto. Régis Jauffret dà per la prima volta una voce e un’anima a questa donna quasi sconosciuta, e le fa raccontare la storia di quella gravidanza fatale. Nove mesi in cui emergono la violenza, la chiusura, la durezza, la soffocante religiosità, il gretto maschilismo del contesto familiare in cui nasce Adolf Hitler.

Jauffret racconta attraverso la letteratura quale coacervo di male, di ottusa religiosità e di crudele piccolezza umana e familiare darà la vita all’uomo capace di concepire il nazismo. E lo fa inserendo nella narrazione un’ulteriore intuizione letteraria, perché ai fatti e ai giorni si aggiunge una sorta di fiume carsico di parole e di immagini che invadono la mente della madre e che lei trascrive di nascosto benché le risultino quasi del tutto incomprensibili, e che sono trasmesse alla sua coscienza dalla creatura che ha nel ventre. Immagini e parole che prevedono e descrivono la ferocia e i crimini che quel feto, una volta diventato uomo, commetterà ai danni dell’intera umanità.

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